Il Trattamento

Il progetto intende investigare il mondo marginale delle persone alle quali previa una pena inflitta da scontare è stata limitata la libertà personale in quanto colpevoli di aver commesso un reato punibile penalmente. Un lungo percorso nei dieci Carceri della Regione Emilia Romagna, la cui prima parte si concentra su una vera e propria esplorazione di tutti quegli spazi dove i colpevoli vengono “trattati” attraverso il sistema della rieducazione penitenziaria messo in atto da chi gestisce il Sistema. Le immagini fotografiche portano alla luce luoghi e ambienti in cui si svolgono momenti di istruzione, iniziative culturali, culto della religione, il lavoro e quei brevi momenti che possono essere di svago, nelle palestre, nelle ore d’aria o sui campi di calcio. L’intento è quello di restituire attraverso il linguaggio fotografico una visione della realtà all’interno di questi luoghi poco o per nulla conosciuta, dove il sistema pensa di ricostruire vite riprogettandone di nuove per poi restituirle alla società. Di tutto quello che si può dire del carcere e della detenzione ciò che preoccupa maggiormente è il non voler mai assistere alla sconfitta del senso di umanità, se così fosse avremmo tutti perso.

Il diritto di vedere e il dovere di costruire il futuro

Federico A. Amico

Presidente Commissione Parità e Diritti, Regione Emilia-Romagna

 

Trasparenza è una parola importantissima nella vita delle istituzioni democratiche. Quando questa parola entra in relazione con il mondo carcerario e con i diritti delle persone limitate della propria libertà a causa dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, allora si fa ancora più urgente questo obiettivo da raggiungere e confermare ogni giorno. Un punto fermo e uno sforzo che deve guidare le istituzioni nel loro lavoro negli istituti di pena.

 

La catalogazione fotografica delle aree degli istituti penitenziari emiliano- romagnoli riservate ai percorsi trattamentali – scolastiche, formative, sportive e più in generale aree ricreative – rappresenta un racconto per immagini degli spazi carcerari regionali che va certamente in questa direzione, ma è anche un lavoro utile per far emergere le complessità e le possibilità di miglioramento della vita negli istituti di reclusione, al di là di semplificazioni e stigmatizzazioni che a nulla servono.

 

Il lungo reportage di migliaia di scatti firmato dal fotografo Francesco Cocco su impulso di un’illuminata richiesta del Garante regionale Roberto Cavalieri, è un lavoro eminentemente politico, e questo è il punto più alto di tutta l’operazione. Non è un approdo scontato, ma al contrario un risultato inseguito sin dagli esordi e dichiarato nei suoi intenti: «In questo modo – spiegava Cavalieri in una nota – tutti avranno modo di vedere cosa sono le nostre carceri e, speriamo, stupirsi per i tanti spazi dedicati a scuola, formazione, lavoro e sport, e così collaborare con le direzioni degli istituti nella realizzazione di questi progetti, per incentivare gli scambi tra il dentro e il fuori». Se a quest’intenzione affianchiamo anche la volontà di presentare il volume fotografico all’interno di un convegno dedicato a carcere e lavoro, e quindi alle opportunità e ai doveri costituzionali che si incardinano intorno a questi due mondi, abbiamo un quadro completo del progetto.

 

Le fotografie di Cocco vanno oltre l’indiscutibile valore estetico: assumono soprattutto una funzione informativa e illustrano un discorso che si sviluppa intorno al dovere etico e costituzionale della collettività e dei territori di collaborare per offrire ai detenuti opportunità di inserimento lavorativo e sociale. Moltiplicare i ponti tra il dentro e il fuori, con il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti, a partire dalle associazioni, è la strada principale da perseguire. Il Terzo settore, per sua natura e per le competenze maturate, è il soggetto privilegiato per attuare, insieme alle istituzioni, percorsi di solidarietà e benessere, sia per quanto riguarda i processi di prevenzione sia per la reintegrazione.

 

Sulla scorta dei tanti dati, ma soprattutto grazie all’esperienza di chi è impegnato quotidianamente nel settore, possiamo serenamente affermare che questa è la direzione giusta. Per ridurre il drammatico numero di recidive a cui ancora oggi assistiamo, per disinnescare i meccanismi che in carcere acuiscono i problemi sociali, personali e psicologici. Per immaginare i luoghi di detenzione intesi non come aree isolate, dove non c’è più speranza per chi ha rotto il patto sociale commettendo un reato, ma parte di un percorso di riflessione ed elaborazione dei propri errori per costruire il futuro. Infine per allargare il nostro sguardo e ribadire che il problema deve essere affrontato alla radice, con un significativo mutamento culturale che veda nella pena detentiva e nella custodia cautelare in carcere soltanto l’extrema ratio, laddove ogni altra sanzione o misura nel caso concreto sia impossibile. E quindi con la sostanziale decarcerizzazione, per rendere davvero effettivo il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena.

 

Il lavoro fotografico di Cocco sembra essere stato condotto durante un incantesimo che ha fatto scomparire detenuti e personale penitenziario. E allora questo lavoro può anche essere un’opportunità per vedere il futuro e immaginare che di questi luoghi, forse un giorno, non avremo più bisogno e quel giorno ci potremo sbizzarrire a immaginare cosa fare di queste enormi piattaforme di cemento.

L’isola che c’è

Gloria Manzelli

Provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Emilia-Romagna e Marche

 

Nell’immaginario collettivo il carcere è prevalentemente un luogo di dolore e di espiazione. Obiettivi primari e vision di questo Provveditorato, sono il riscatto e la ridefinizione di percorsi di vite nel rispetto delle regole attraverso la introiezione di valori fondamentali per ogni individuo: il lavoro, l’istruzione, la famiglia, la speranza di una seconda chance.

 

Il carcere è il luogo in cui una pena detentiva viene espiata, perché se vi è sanzione vi è reato e la responsabilità individuale dell’autore. Ma un aspetto poco noto, ai più, coinvolge un esercito silenzioso di operatori penitenziari che quotidianamente tessono una rete fatta di ideazione, iniziative, connessioni volte a realizzare progetti di vita che ciascun utente può iniziare, se lo vuole, a costruire sin dal suo ingresso in istituto e che quotidianamente si consumano e si rigenerano negli spazi più o meno ampi di un istituto: questo piccolo esercito silente opera all’interno delle mura perimetrali del carcere, e contribuisce a realizzare un altro tipo di sicurezza sociale, quella basata sulla cultura e sul lavoro, sul rispetto delle norme che regolano il tessuto sociale, sull’ascolto e sul riconoscimento delle responsabilità individuali, nel rispetto del mandato costituzionale.

 

Accanto agli operatori interni dobbiamo ricordare il contributo della comunità esterna che nei vari territori supporta l’azione istituzionale. Il contesto emiliano-romagnolo ha un grande potenziale costituito da una rete sociale, di volontari, associazioni, cooperative sociali e imprese che hanno deciso di investire nella ricostruzione di esistenze interrotte e grazie a progetti portati avanti da Dirigenti caparbi e a volte visionari, si sono potute realizzare iniziative di pregio e uniche nel loro genere. La funzione della pena sancita dalla Costituzione è un compito incredibilmente arduo e non può che passare attraverso lo snodo cruciale di una svolta culturale trasversale a tutte le componenti sociali e istituzionali, che porti a considerare la popolazione detenuta una possibile risorsa per il sistema produttivo, e le carceri quartieri delle città di cui i servizi pubblici devono farsi carico. Fondamentale alla realizzazione del mandato costituzionale è il rapporto con il territorio, con tutte le sue componenti istituzionali, sociali, culturali, formative e produttive. Tra carcere e territorio deve esistere un rapporto di osmosi, il carcere deve aprire al territorio e il territorio non deve essere impermeabile ma inclusivo e di supporto.

 

Il lavoro è tra gli elementi del trattamento sicuramente il più importante per la definizione di un progetto rieducativo di un detenuto o di una detenuta; altrettanto fondamentale la formazione professionale finalizzata a far conseguire strumenti qualificanti e spendibili anche una volta liberi.

 

Anche l’istruzione è una componente imprescindibile del trattamento: dai corsi di alfabetizzazione di base che rispondono ai bisogni di una popolazione detenute multietnica per cui le barriere linguistiche rischiano di essere un ulteriore elemento di emarginazione, passando attraverso corsi di istruzione secondaria sino ad arrivare all’università, tanto che nell’ultimo decennio sono proliferati poli universitari e corsi di laurea. L’educazione alla cultura e al sapere si alimenta anche con la partecipazione ad eventi come la Notte Europea dei ricercatori, cui molti dei nostri istituti hanno partecipato e recentemente trascorsa, in cui la cultura entra nei corridoi delle sezioni, restandovi col suo profumo di normalità.

 

Non si può non parlare dei notevoli investimenti in termini di progettazione e risorse dedicate al lavoro inteso nel più professionale dei suoi significati, non limitato all’impiego dei detenuti nelle lavorazioni domestiche, ma sempre più proiettato verso l’esterno; sono infatti aumentate le attività lavorative alle dipendenze di datori di lavoro esterni, siano essi imprenditori che cooperative. Non si tralascia alcun settore, da quello industriale a quello agricolo, col proliferare di serre per la produzione di ortaggi o piante officinali, al settore zootecnico con allevamenti di api e collaborazioni con realtà produttive esterne consolidate sul territorio. Negli spazi verdi interni è incoraggiata la lavorazione della terra per la produzione di ortaggi destinati al consumo ed alla vendita e per favorire dove possibile il lavoro all’aria aperta, come accade ad esempio nelle tenute agricole a Castelfranco Emilia, in cui detenuti fra i più affidabili sperimentano il senso di un carcere che prepara alla libertà. Negli ultimi anni sono stati aperti molti call center alle dipendenze di datori di lavoro esterni.

 

Lo sport è diffusissimo e molto gradito tra la popolazione detenuta che vi si cimenta non solo in modo amatoriale, ma anche in occasione di progetti più strutturati che, grazie alla collaborazione con alcune fra le più accreditate associazioni sportive, ha consentito la partecipazione di squadre di detenuti a campionati esterni. Ovunque sono organizzati tornei interni in diverse discipline a cui, in occasioni particolari, possono essere ammessi anche i familiari, e in quasi tutte le realtà esistono palestre interne a cui i ristretti possono accedere ed allenarsi secondo un calendario definito dalla Direzione del penitenziario.

 

L’attività teatrale è presente in tutti gli istituti della Regione, con progetti ed interventi di grande spessore artistico e culturale. E’ certamente una delle primissime espressioni artistiche che, tantissimi anni fa, ha varcato i cancelli delle carceri in Italia, dando vita ad interessantissimi laboratori di espressività e a paralleli corsi di formazione per le cosiddette professioni tecniche del teatro, dai tecnici del suono e delle luci ai costumisti ecc.

 

Anche la musica diventa ambasciatrice di libertà laddove si celebra con eventi come Verdi Off a Parma, il cui istituto da alcuni anni nel collaborare col Teatro Regio del capoluogo, ha sperimentato come la musica, inclusa la musica classica, possa essere ascoltata e interpretata anche da persone che non l’avevano mai incontrata prima. Non da sottovalutare, proprio in materia musicale, come la multietnicità dei nostri ristretti possa costituire un valore aggiunto in cui la contaminazione di suoni provenienti da altre culture e tradizioni può costituire volano per l’integrazione. Spettacoli teatrali, musicali, di espressività artistica in genere sono molteplici e di pregevole qualità in ogni realtà territoriale, in cui i detenuti si mettono in gioco recitando, suonando, cantando anche davanti ad un pubblico esterno che accede per visionare lo spettacolo.

 

Le relazioni famigliari sono una componente rilevante per l’uomo detenuto, soprattutto se vi sono figli minori. A questa relazione si pone particolare attenzione, con la realizzazione di spazi adeguati all’età per la fruizione di colloqui sereni, in modo che il momento dell’incontro con il genitore detenuto possa essere meno traumatico ed avvenire in spazi adeguatamente attrezzati, ma l’opera di intervento prosegue con progetti come “Bambini senza sbarre” e progetti come “Liberi di crescere” promossi affinché il dramma del distacco da uno dei genitori, non diventi un fardello né uno stigma.

 

Sono in atto e si intende comunque incrementare progetti in cui si sostiene la genitorialità e il dialogo genitore- figlio in carcere, per poi proseguire con interventi esterni tramite la presa in carico da parte dei servizi del territorio che seguono i minori, che sono le vittime innocenti di condotte poste in essere da altri e che sono inevitabilmente stigmatizzanti e potenzialmente criminogene.

 

A nostro parere, iniziative di questo genere non sono mero sostegno, ma sono anche prevenzione, nel tentativo di donare ai più piccoli un’occasione di poter vivere nelle loro visite in istituto un momento di “normalità”. Concludo con i ringraziamenti, tanto doverosi quanto sentiti, al Garante Regionale delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale Roberto Cavalieri per aver fortemente voluto e sostenuto questo lavoro di presentazione delle enormi potenzialità della rete penitenziaria regionale, con l’auspicio che sia volano per ulteriori sfide all’insegna della sinergia tra l’istituzione penitenziaria e le realtà territoriali, nella consapevolezza che laddove il tessuto sociale è risultato permeabile e sensibile si sono registrati i più rilevanti e consolidati risultati in tema di integrazione e reinserimento delle persone condannate.

Un repertorio di immagini per i diritti dei detenuti

Roberto Cavalieri

Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale della Regione Emilia-Romagna

 

La realizzazione delle immagini di questo Repertorio si è sviluppata tra il dicembre del 2022 e il giugno 2023 nel corso di oltre trenta accessi agli istituti penali della Regione. Il progetto ha preso avvio grazie alla concessione delle autorizzazioni da parte dell’amministrazione penitenziaria.

 

Fotografia e carcere: un binomio da sempre molto critico. Questo per due ragioni. La prima è quella della tutela della sicurezza degli istituti, concetto che mi risulta più facile applicare in altri momenti della vita penitenziaria ma non a quello legato alla presenza di un apparecchio fotografico utilizzato per documentazione e promozione del sistema. La seconda ragione è la stessa che governa la riservatezza propria dei contesti di vita. Il carcere non è solo per i detenuti. In carcere vivono anche uomini e donne che lì trascorrono una vita lavorativa, che, guarda caso, ha spesso la stessa durata di un ergastolo. Forse per questo scatta un sentimento di pudore, di riservatezza e il sistema prova disagio nel concedere la possibilità di fare fotografie là dove potrebbe esserci “disordine”. Un uomo esperto della Polizia penitenziaria, uno di quelli che sa misurare bene l’equilibrio che deve esserci tra sicurezza e coltivazione della speranza nelle persone che hanno commesso errori, i detenuti, nel descrivermi cosa aveva provato entrando nella Casa circondariale di Modena dopo la rivolta del 2020 equiparò quelle emozioni alle stesse che avrebbe provato chiunque fosse entrato in casa propria dopo un saccheggio o un furto. Quel parallelo mi ha fatto molto pensare e forse è stata quella frase che ha dato il via all’idea di realizzare questo Repertorio. La sfida sarebbe stata quella di dare una rappresentazione inedita del carcere costruendo un complesso puzzle di immagini degli spazi abitati degli istituti, nei quali i detenuti sono coinvolti in una parte importante del trattamento penitenziario, ovvero quello che si realizza in ambienti di confine tra il dentro e il fuori, dove si realizzano le relazioni con gli operatori penitenziari, i volontari, gli insegnanti, i formatori, i famigliari, gli avvocati, i magistrati, i ministri di culto e tanti altri. Il Repertorio è quindi composto da immagini di contesti e ambienti (stanze, aule, laboratori, luoghi di culto, etc.) in cui chi ha commesso reati viene “trattato” con l’obiettivo di essere “rieducato” e, un giorno, essere restituito alla libera società “corretto” dai caratteri di devianza e nella prospettiva della sua reintegrazione sociale.

 

Tutto questo è possibile che avvenga in questi spazi? È un interrogativo che non ha trovato una risposta nel corso dei sette mesi di lavoro del fotografo Francesco Cocco e di tutte le volte che l’ho accompagnato.

 

Forse è però sbagliato porsi questa domanda. L’errore principale sta nel pensare che i 3.500 detenuti che popolano i dieci istituti penitenziari dell’Emilia-Romagna non abbiano mantenuto, dopo il reato commesso, una loro umanità e quindi pensare che tutto quello che è presente in queste immagini non serva assolutamente a nulla, cedendo così al pensiero comune e dominante che fa delle carceri un luogo di esclusiva per la sofferenza. Il Repertorio vuole stimolare una riflessione che porti a comprendere che il lavoro che si svolge nelle carceri deve puntare alla scoperta, alla cura e alla conoscenza dei detenuti. Questo straordinario lavoro si deve svolgere proprio negli spazi ripresi nelle immagini del Repertorio. Si tratta di spazi che così come sono possono sembrare estranei ad un contesto penitenziario, ma sono spazi che ogni giorno accolgono centinaia di detenuti e centinaia di operatori e tecnici che incessantemente si confrontano generando un capitale immenso che è proprio del tentativo di costruire un percorso di speranza verso un futuro che deve comunque arrivare e che i detenuti dovranno prima o poi incontrare di nuovo.

 

Sono tutte riprese immobili ma, anche se solo nell’arco di pochi mesi, alcuni di questi spazi sono già cambiati sotto gli impulsi di un infinito processo di mutamento, il trattamento, che ha bisogno della partecipazione di tutti nell’incessante lavoro della costruzione del rientro nella società libera degli esseri umani che li abitano in modo costretto.